Intervista con Alessandro Ratti sulla storia della Svizzera, delle Alpi e del canto dell'inno nazionale. 

 

Puoi presentarti?

Sono nato nel 1991 a Locarno e sono cresciuto a Malvaglia in Valle di Blenio, il distretto nord-est del Cantone Ticino, dove sono originario. Ho frequentato le scuole dell’obbligo in valle, poi il liceo al Collegio Papio di Ascona, con il Lavoro di Maturità in geografia sul progetto di parco nazionale Parc Adula.

Ho studiato storia e latino all’Università di Friborgo, dove ho anche collaborato alla Biblioteca di storia e teologia per diversi anni tra il Bachelor e il Master, tessendo amicizie con i colleghi. Dal 2018 sono archivista alla Parrocchia di Ascona. Nel tempo libero mi piace ascoltare musica, nuotare, fare escursioni in alta montagna d’estate e sci di fondo d’inverno.

 

Tu sei una guida montana. Cos'è che rende le montagne così speciali per te? Le montagne fanno parte dell'identità svizzera?

Nel 2018 ho in effetti ottenuto il certificato svizzero di monitore di escursionismo ESA. Dopo il dottorato sto già pensando al brevetto federale di guida di montagna. La montagna mi ha sempre affascinato e crescendo ho coltivato con essa un forte legame, condividendo belle esperienze con amici.

La montagna è scoperta, avventura e contemplazione. Un mare di vette, di ghiaccio e di roccia si staglia all’orizzonte, in cima ti sembra toccare con un dito il cielo azzurro profondo, i minerali brillano riflettendo i raggi del sole, tutto è calma e silenzio. È, in sintesi, quello che provo, soprattutto quando affronto piccoli grandi traguardi personali, come il mio primo 3000.

Sì, certo, le montagne sono tra i fondamenti dell’identità svizzera. La Svizzera è attraversata dalle Alpi, e la Confederazione è nata tra i monti. San Nicolao della Flüe, il nostro patrono, è originario dal cuore palpitante della Svizzera, un montanaro come Guglielmo Tell e tutti gli eroi nazionali. Buona parte della nostra musica popolare e delle nostre tradizioni viventi sono di origine alpina. È nelle vallate alpine che si parla correntemente la nostra quarta lingua nazionale, il reto-romancio, oltre ai nostri dialetti. La montagna conserva intatta una parte significativa del nostro patrimonio più antico, come le chiese romaniche, le mulattiere medievali e le cascine di legno del XIV secolo. Per me è sempre una grande emozione confrontarmi con tutto ciò.

 

Che funzione ha la storia nell'identità di un Paese?

La storia è eredità, memoria e vita. La storia è nella linfa vitale che scorre nelle vene di un Paese. L’identità profonda di un Paese si nutre di storia, così come di paesaggi, luoghi, miti e leggende. La storia è in questo senso come un libro infinito di cui oggi stiamo ancora scrivendo una pagina che non sarà mai l’ultima. La storia accompagna, condiziona e custodisce l’identità di un Paese, aiuta quindi a meglio conoscerla, capirla e condividerla.

 

Stai studiando la storia generale e svizzera. Perché ti interessa la storia e soprattutto la storia svizzera?

Sì, attualmente sto trasformando la mia tesi di Master in un libro, che dovrebbe essere presto pubblicato. Il Master è dedicato essenzialmente a Vincenzo Dalberti (1763-1849), il sacerdote bleniese che soprattutto dal 1803, anno dell’istituzione del Cantone Ticino, ha maggiormente contribuito a porne le basi.

La storia mi ha sempre interessato, già a scuola e a casa, con la fortuna di avere conosciuto tutti i miei nonni, di leggere libri e di visitare luoghi misteriosi e densi di storia, come i castelli medievali.

La storia svizzera è un fascino che continua, direi quasi ogni giorno, almeno sin dal liceo. Un territorio molto bello e ricco, pieno di diversità, su cui si fonda, si articola e cammina nel corso del tempo un popolo che sviluppa un’alchimia di fierezza, passione e ingegnosità, per costruire e consolidare insieme un equilibrio sensibile è una forza. Ci sono tutti gli ingredienti per continuare.

Nelle supplenze e le altre attività che svolgo con studenti illustro volentieri esempi di prossimità, che hanno il pregio di comporre una storia concreta, aderente al territorio e ai documenti, un ancoraggio immediato e una possibilità di comprensione altrimenti irrealizzabili.

 

Come sei arrivato a iniziare la tesi di dottorato sulle confraternite religiose nel Ticino del XVIII secolo? Possiamo imparare qualcosa da loro?

Il dottorato all’Università di Losanna coniuga in modo ottimale due campi della storia a cui mi sto dedicando da diversi anni: la storia delle Alpi e la storia del cristianesimo. Sono solo all’inizio di questo nuovo percorso accademico e devo ancora approfondire molto la tematica specifica. Sono però sicuro che tutta la storia ha qualcosa da insegnarci.

Vale anche per le confraternite religiose, che nel Ticino dell’epoca moderna hanno avuto un’importanza e una diffusione davvero eccezionali, come coagulo di vita spirituale, sociale e economica nel quotidiano delle popolazioni alpine. Quello che soprattutto mi interessa sono le modalità con cui le confraternite hanno predisposto le forme e le espressioni associative del cattolicesimo popolare e politico nate nel XIX secolo, dalla democrazia cristiana al movimento operaio.

 

Cosa ti ha sorpreso di più di quello che hai imparato su la storia del cattolicesimo politico e sociale, del pensiero e del movimento cristiano operaio e democratico?

 

È il campo che più mi appassiona della storia del cristianesimo, a cui ho dedicato molto tempo con le letture e le ricerche personali. Prima di approfondire tali conoscenze, pensavo che il cattolicesimo politico e sociale, il movimento operaio cattolico e la democrazia cristiana fossero un blocco di pensiero e di azione monolitico e omogeneo, con una provenienza e una direzione precise e determinate.

La sorpresa è stata quando ho scoperto che i periodi e gli avvenimenti storici, i luoghi geografici, l’area linguistica, la cultura di riferimento hanno reso questa corrente come un albero con un tronco comune e radici molto antiche, ma con tante diverse ramificazioni. Pensiamo solo alla differenza tra le espressioni austriache e svizzere di questa corrente, e per la Svizzera la diversità secondo le regioni linguistiche, oltre che tra nord e sud delle Alpi. Oppure pensiamo al cammino percorso da questa corrente in Francia, dal sacerdote bretone Félicité de Lamennais (1782-1854) al filosofo Jacques Maritain (1882-1973): una vera avventura, ricca di fascino e sorprese.

 

Per me, essere svizzero significa...

Molto, davvero, e tante cose insieme. Significa amare la mia terra, il “patrio suol” del Salmo svizzero, le Alpi, con tutta la loro diversità e bellezza. Essere vicino, fisicamente e emotivamente, alla natura. Coltivare la mia spiritualità in armonia tra cielo e montagna. Nutrire il mio spirito di svizzero passando del tempo nei luoghi per me più significativi. Riconoscere il valore della solidarietà e la forza del federalismo e della democrazia.

Parlare almeno un po’ il romancio, scoprire luoghi discosti e sconosciuti. Consolidare l’impegno nella vita sociale e politica, scrivendo quale redattore di periodici locali e regionali, partecipando a elezioni e votazioni, attivandomi nelle organizzazioni sportive e culturali. Elaborare ulteriori prospettive di conservazione, valorizzazione e trasmissione del patrimonio storico e artistico.

Cucinare e gustare le specialità di ogni stagione. Significa anche portare la bandiera rossocrociata su una spiaggia della Bretagna assediata dalla marea il mattino presto di un 1° d’Agosto e cantare l’inno nazionale con il fragore delle onde, o anche solo tuffarsi nelle acque gelide di un laghetto alpino d’alta montagna a stagione molto inoltrata …

Intervista: Eliane Troxler

 

Intervista con Ali Hodzic (32), religioso e musulmano praticante. È un insegnante, padre di tre figli piccoli e vive nel cantone di Zurigo.


Come sei arrivato alla fede?
Dopo un periodo un po 'selvaggio, festa, ecc ho dovuto dare via la mia patente di guida perché ero ubriaco alla guida di una macchina. Ho un enorme autobus di diverse migliaia di franchi e ho detto: "Basta così. C'e' qualcosa che non va. Mi sono chiesto, qual è il significato della vita? Ho guardato le diverse religioni, anche se sono cresciuto nell'Islam. Ho notato che l'Islam è la cosa giusta per me, dopo tutto.


Com'è per te musulmano vivere in Svizzera? Provi rispetto o discriminazione?
Io sperimento rispetto e discriminazione, entrambi. Rispetta soprattutto quando la gente vede che digiuno per un mese intero o quando sente che prego cinque volte al giorno o che non fumo e non bevo. D'altro canto, siamo anche discriminati. Se in Svizzera dovesse prevalere la libertà di religione o l'uguaglianza religiosa, non sarebbe possibile vietarci di costruire minareti con un voto.
Altrimenti discriminazione nella vita quotidiana..... In Svizzera, se ci si comporta normalmente, se si fanno domande amichevoli, allora si può anche pregare sul lavoro. Non ho mai subito discriminazioni, come non essermi permesso di pregare. Mi è sempre stato permesso di andare alla preghiera del venerdì, era tutto a posto. In linea di principio, in realtà non siamo discriminati, ma vi sono punti che sono discriminatori. Nel settore dei media, ad esempio, è stato dimostrato che quando si parla di Islam, c'è sempre una segnalazione molto negativa. Si tratta di una discriminazione mediatica che esiste sicuramente.


Cosa può imparare la Svizzera dall'Islam?
La Svizzera ha imparato dall'Islam per molto tempo! Tutti i risultati ottenuti nelle aree islamiche, che naturalmente sono stati in parte ripresi dalle culture precedenti. Il modo in cui ti lavi. Numeri arabi. Quello che si può imparare dall'Islam è che si dovrebbe tollerare le persone, ma non bisogna accettarle. Non devi avere un'unione forzata. Il massimo dei sentimenti è la coesistenza pacifica, che è proprio così. Il rispetto e la tolleranza per gli altri possono certamente essere appresi dall'Islam.


Cosa possono imparare i musulmani dalla Svizzera?
Chiaramente: impegno. Se dici qualcosa, allora è la stessa cosa. Disciplina anche per la vita in questo mondo, non solo per l'aldilà. Che vi sforzate veramente e non pensate: "Sì, sarà un bene, Allah l'ha preparato in questo modo.


A cosa ti portano le diverse religioni della Svizzera? Porta ad una spaccatura? O si unisce?
Per me, le persone che non hanno religione, indipendentemente dall'angolo, che non praticano, sono le persone peggiori. Sono le persone più intolleranti che ci sono. Le persone migliori e più tolleranti sono quelle che hanno una fede, cristiana, ebraica o musulmana. Seguono questa saggezza: Ama il tuo prossimo. O non c'è costrizione alla religione. Quello che diciamo nel Corano: ad ognuno la sua religione. Se qualcuno ha una fede consolidata e se normalmente si può entrare nel dialogo interreligioso, non ci dovrebbero essere divisioni. C'è una divisione solo quando le persone usano la religione per i loro scopi. Estremisti di una religione e nemici di una religione. La divisione esiste solo quando qualcuno ha un interesse nella divisione. Fondamentalmente, le religioni dovrebbero assolutamente unirsi.


Ci sono differenze tra i musulmani nelle diverse regioni linguistiche della Svizzera?
Sì, certo! Nella parte francofona ci sono molti più arabi, molti più musulmani arabi che qui nella Svizzera tedesca. Nella Svizzera tedesca ci sono soprattutto i Balcani. Albanesi e turchi, ecc. Questa è ovviamente una differenza enorme, la cultura araba e quella balcanica. Ciò significa che i musulmani svizzero-tedeschi tendono ad adattarsi alla svizzero-tedesca, così com'è, forse in termini di puntualità, precisione sul lavoro, ecc. Gli svizzeri francofoni non hanno la stessa puntualità e lo stesso vale per i musulmani. La tendenza è quella di avvicinarsi a tutto con più calma. Ma credo anche che ci siano molti più studiosi francofoni, molti di più accesso agli studiosi, se si pensa a quante persone in Africa parlano francese. Nell'area germanofona ci sono pochi milioni, ma non tanti quanti sono i francesi.

Cos'è un tipico musulmano svizzero in contrasto con i paesi vicini?
Penso che un tipico musulmano svizzero sia colui che, quando dona, in pratica dona di più perché guadagna di più. Per quanto riguarda le donazioni, ci sono molte più donazioni da parte dei musulmani. Penso anche che i musulmani svizzeri cerchino di integrarsi molto di più, ad esempio parlando la lingua. Noi e lo Stato dobbiamo fare in modo che le zone non si sviluppino come in Germania, dove in alcune zone gli agenti di polizia devono essere in grado di parlare turco, perché altrimenti non possono parlare con la gente. Si tratta ovviamente di una grande differenza. La volontà di adattamento in Svizzera, come è consentito dall'Islam e in Germania semplicemente questa mancanza di volontà. Ci sono sottoculture molto più grandi in paesi diversi dalla Svizzera.


La religione può avere un ruolo in politica?
Ha svolto un ruolo per molto tempo. Quando vedi che "la dignità dell'uomo è inviolabile" tutto deriva dalle cose religiose. Tutto questo gioca un ruolo. Perché l'omicidio non è permesso? Questa è semplicemente una profonda convinzione dell'etica e della morale e viene dal religioso e infine da Dio quando si parla di religione. 


Cosa vuoi per la Svizzera?
Sì, semplicemente più tolleranza. Che si riconosce che i musulmani qui non sono solo ospiti, ma sono venuti a soggiornare. Non so chi ha detto: "Abbiamo chiamato i lavoratori e sono arrivate le persone". Cioè, siamo venuti come lavoratori, ma siamo esseri umani, abbiamo religione e valori e così via. Queste vengono naturalmente portate all'esterno. Ciò significa, in generale, questo comportamento asociale, razzista, razzista, in parte intollerante, che purtroppo, dal mio punto di vista, esiste ancora in gran parte della Svizzera. Tutto ciò che è diverso è un problema, vero? Vorrei semplicemente che la tolleranza fosse promossa di più, anche dallo Stato. Che questi media dovrebbero concentrarsi maggiormente sulla riconciliazione e non limitarsi a scurry sensazione cornea da un messaggio all'altro.


Per me, essere svizzero significa.....
...di vivere in Svizzera, di accettare le usanze svizzere, per quanto la mia morale me lo consente. - E lo fa per la maggior parte. Nessuno mi proibisce di praticare la mia religione.
...di essere tollerante verso gli altri ma di difendere i propri valori e di viverli.

 

Intervista: Eliane Troxler

Intervista Skype con Parham, che parla 12 lingue

Password per il video: EssereSvizzero
Ho conosciuto Parham circa 4 anni fa quando lavoravamo insieme in un ostello vicino a Roma. Allora ci divertivamo a parlare in quattro lingue. Il suo entusiasmo per le lingue mi ha presto contagiato e mi ha motivato ad imparare più lingue e a migliorare quelle precedenti.
L'intervista è in tre lingue svizzere: Italiano, tedesco e francese.

Sommario
-Parham viene dagli Stati Uniti, ma viaggia da 10 anni e si considera un cittadino del mondo. Al momento vive in Thailandia, ma presto ci sposteremo in Cina.
-Parla 12 lingue, giapponese, tailandese, tailandese, cinese, persiano, inglese, francese, spagnolo, italiano, portoghese, tedesco, coreano, croato e tailandese.
-Impara le lingue per poter comunicare realmente con le persone in viaggio, non solo in inglese. Con ogni lingua impara un nuovo modo di vedere il mondo e i termini belli.
-Parham passa circa 2-3 ore al giorno ad imparare le lingue, e parla 8-9 lingue alla settimana con altre persone.
-Egli ritiene che l'apprendimento delle lingue sia importante perché strumenti come Google Translator creano distanza e non funzionano per conversazioni più complesse. Solo con l'inglese si può comunicare con una piccola parte delle persone che viaggiano.
-Per imparare una lingua, è importante comunicare con persone di madrelingua, non solo con la persona seduta accanto a te a scuola, il che non è divertente. Non considera l'apprendimento a scuola come il modo giusto per imparare una lingua, ma come un parlare con persone di madrelingua.
-Parham non crede che il talento sia necessario per imparare le lingue. Se tutti trascorrono 3 ore al giorno ad imparare le lingue, crede che tutti possano imparare quante più lingue possibile.
-Suggerimenti per l'apprendimento della lingua: esercitarsi ogni giorno, anche se è solo mezz'ora, quindi diventa un'abitudine. Inoltre, è possibile trovare il metodo di apprendimento preferito. Egli raccomanda il materiale didattico "Assimil", che si basa sull'apprendimento della lingua dai dialoghi. All'estero, si dovrebbe anche cercare di non parlare l'inglese, ma la lingua nazionale, anche se non si ha ancora una buona padronanza della stessa.

 

Intervista: Eliane Troxler

 

 

 

"Per me come ex-pat, la Svizzera è un luogo di pace e rigenerazione, di montagne e laghi, una casa con la famiglia e gli amici e quindi anche una sorta di rifugio emotivo."

Benjamin, Zug/Lussemburgo, Amazon

Intervista al Prof. Dr. phil. Andreas Härter, docente permanente di lingua e letteratura tedesca presso l'Università di San Gallo su identità svizzera, differenze educative e multilinguismo.

 Cercano il vuoto. Come ti è venuta in mente l'idea di ricercare il vuoto?
No, non credo che sia completamente vuoto. Penso che, sebbene non ci sia un caso di identità pronta per l'uso, esiste un quadro di attribuzione dell'identità, che forse è un po' meno completo di quanto si pensiamo di solito. Ma questa costruzione non è solo un fantasma, perché c'è una storia della Svizzera che riempie in parte il vuoto delle impalcature. Ma ci sono anche formazioni di miti che fingono solo di riempire le impalcature. Probabilmente oggi non sono così forti come lo erano durante e dopo la seconda guerra mondiale, quando si coltivava intensamente il mito che la Svizzera era un'entità unica e autonoma. Tuttavia, è noto che questo mito è ancora gestito politicamente. Se si eliminano aspetti che non sono completamente coperti dalla realtà, l'identità della Svizzera potrebbe essere già un po' vuota. Ma non sono sicuro che questo vuoto sia effettivamente vuoto, per così dire, o che in questo vuoto si svolga un gioco creativo di domande, processi di costruzione dell'identità, processi di flessibilizzazione dell'identità, delimitazioni, esclusioni. Dove c'è vuoto, c'è spazio aperto, e penso che l'intero processo di identità e di interrogazione appartenga al quadro di riferimento. Un'identità implica sempre la questione di questa identità, il suo cambiamento e, in un certo senso, anche la sua negazione.

 

L'identità svizzera è vuota?
No, non credo che sia completamente vuoto. Penso che, sebbene non ci siano alloggi di identità pronti per l'uso, esiste un quadro di attribuzione dell'identità, che forse è un po' meno completo di quanto si pensiamo di solito. Ma questa costruzione non è solo un fantasma, perché c'è una storia della Svizzera che riempie in parte il vuoto delle impalcature. Ma ci sono anche formazioni di miti che fingono solo di riempire le impalcature. Probabilmente oggi non sono così forti come lo erano durante e dopo la seconda guerra mondiale, quando si coltivava intensamente il mito che la Svizzera era un'entità unica e autonoma. Tuttavia, è noto che questo mito è ancora gestito politicamente. Se si eliminano aspetti che non sono completamente coperti dalla realtà, l'identità della Svizzera potrebbe essere già un po' vuota. Ma non sono sicuro che questo vuoto sia effettivamente vuoto, per così dire, o che in questo vuoto si svolga un gioco creativo di domande, processi di costruzione dell'identità, processi di flessibilizzazione dell'identità, delimitazioni, esclusioni. Dove c'è vuoto, c'è spazio aperto, e penso che l'intero processo di identità e di interrogazione appartenga al quadro di riferimento. Un'identità implica sempre la questione di questa identità, il suo cambiamento e, in un certo senso, anche la sua negazione.

Sono istruiti e interessati a contesti complessi. La maggior parte degli svizzeri non capisce quello che scrivi. Tali differenze nell'istruzione portano a un indebolimento della coesione in Svizzera?
Non so se descriverei le differenze educative in questo modo. Proprio come ognuno nella propria professione ha un contesto di lavoro specifico, un target di riferimento specifico, così chi fa ricerca e scrive ha anche un certo target di riferimento. Non è vero che tutti comprendono tutto ciò che tutti gli altri fanno o dicono. Piuttosto, ci sono diverse aree di competenza che si completano a vicenda. Non si tratta fondamentalmente di qualcosa che divide i gruppi sociali. Naturalmente potete chiedervi se c'è una qualche legittimità per fare cose con cui la maggior parte delle persone non ha a che fare. L'affermazione è che le scienze, compresi gli studi culturali, hanno una funzione e un beneficio sociale. Essi cercano di strutturare teoricamente la società, le sue pratiche culturali, le sue istituzioni, i suoi processi sociali e politici per comprenderli. Forse questo porterà a una consapevolezza di più ampia portata. Questo può ricadere nel grande pubblico, forse non a tutti i gruppi, non a tutte le persone, ma in un certo quadro rafforza qualcosa come una coscienza sociale.
Pertanto, ritengo che la complessità del testo scritto limiti la portata del pubblico di riferimento immediato. Ma pensare ai processi sociali e culturali ha un effetto di integrazione più che di separazione.

Amano la lingua e la scrittura tedesca. Quali effetti ha sulla coesione svizzera il fatto che non abbiamo una lingua comune?
Come sempre, è ambivalente. Il fatto che abbiamo quattro lingue, con queste lingue che poi si differenziano ulteriormente, non facilita affatto la coesione. Ma ho l'impressione che la consapevolezza che si tratta di un paese che funziona nonostante quattro lingue diverse abbia già di per sé un effetto di integrazione. Si dice sempre che la Svizzera è una nazione di volontà. Questo testamento ha qualcosa che lo rende identitario. La Svizzera tedesca non vuole diventare Germania, il Ticino vuole diventare Italia e così via. C'è qualcosa che tiene insieme questo paese e questa coesione forse non esiste nonostante la differenza linguistica, ma proprio a causa di essa.

Cos'altro tiene insieme la Svizzera?
Da un lato, c'è un evidente senso di identità quotidiana. Avere una tale consapevolezza costituisce una buona parte dell'identità che si crede di poter assumere. Permette una posizione dalla quale si può affermare una certa sicurezza, dalla quale si può al meglio perseguire l'esclusione, ma dalla quale si può anche dire: C'è una certa stabilità, che ha un peso storico, con la fondazione dello Stato federale nel 1848 e la mitica preistoria dal 1291.
Si potrebbe aggiungere che è anche l'idea di neutralità che esiste da secoli e i suoi aspetti problematici che contribuiscono alla coesione della Svizzera. La coscienza di un'isola, anche nei confronti dell'Unione europea, è, per quanto discutibile, qualcosa che crea identità. Ma questa è ovviamente un'identità negativa: non siamo parte degli altri, siamo la nostra isola.


Cosa vuole per la Svizzera?
Un'apertura riflessiva e coraggiosa.

Per me, essere svizzero significa.....
....di poter vivere in modo tale che non sia costretto a pensare costantemente alle difficoltà esistenziali, a garantire la sopravvivenza, ecc. o a lottare per loro. Per me significa che c'è un senso di benessere che può sopportare i propri pericoli - e che porta con sé obblighi che vanno oltre il proprio naso.

 

Intervista: Eliane Troxler
 

 

 

 

"Essere svizzera significa per me una sensazione di casa e la sensazione di avere sempre il miglior cioccolato".
Maria, studentessa di psicologia, Zurigo

Intervista con Elsa di Ginevra che studia a San Gallo

Ciao, Elsa. Grazie mille per aver trovato il tempo per l'intervista!

Chi sei?

Mi chiamo Elsa e ho 22 anni. Vengo da Ginevra. Attualmente mi sto laureando in economia aziendale presso l'Università di San Gallo, nella Svizzera tedesca. Indossando un grande amore per la natura, approfitto dei miei fine settimana per fare escursioni in Appenzello e scoprire la ricchezza dei suoi paesaggi. Ho anche una grande passione per l'arte. Spesso mi prendo un pomeriggio libero per disegnare o sfogliare un libro di storia dell'arte alla fine della serata.

Dove sei cresciuto e perché hai deciso di studiare nella Svizzera tedesca?
Sono cresciuto a Ginevra. Ho fatto una maturità bilingue franco-tedesca al Calvin College. Per me, venire a San Gallo è stata una logica continuazione dei miei studi. Volevo fare "un passo avanti" nel mio arricchimento personale e migliorare il mio tedesco. Inoltre, ero curioso di scoprire la Svizzera tedesca e la sua cultura, che, sebbene ancora svizzera, non è identica a quella che conoscevo.

Come si è sentito in merito all'inizio dei suoi studi a San Gallo? Cosa c'era di diverso? Cosa c'era di difficile?
San Gallo è una piccola città. Ti senti al sicuro molto velocemente e la vita è abbastanza facile. Non ho avuto molta difficoltà ad integrarmi. Inoltre, l'università è molto interculturale. Mi sono subito avvicinato al popolo ticinese. A livello educativo, era necessario imparare ad essere autonomi. Per me è stato difficile entrare in contatto con i tedeschi svizzeri a causa della lingua. Anche se capivo il tedesco, mi era impossibile capire il loro dialetto.

Cosa hai imparato studiando in un'altra parte del paese che altrimenti non avresti imparato?
Ho semplicemente scoperto la Svizzera..... Può sembrare sciocco, ma stare a Ginevra è vivere in una piccola bolla. Mi sono reso conto della diversità del nostro paese. La Saane è tanto una separazione fisica quanto culturale tra la Svizzera romanda e la Svizzera tedesca. Vivendo su entrambe le coste, ci rendiamo conto che i rispettivi cliché sono in parte veri e in parte falsi. E' una bella esperienza.

Qual è stata la sua migliore esperienza a San Gallo? Qual è stato il peggiore?
La mia migliore esperienza è stata la scoperta della vita universitaria. San Gallo è una città universitaria. E' estremamente facile incontrare persone. Le persone spesso provengono da regioni o paesi diversi, il che è molto gratificante. Allo stesso modo, vivere in un appartamento condiviso permette di creare legami molto forti. 
In quanto francofono, potreste non essere presi sul serio semplicemente perché può essere difficile per noi esprimerci in tedesco. E' una sensazione molto frustrante non essere in grado di comunicare correttamente.

Ti ha cambiato il fatto di studiare lontano da casa?
Questo senza dubbio mi ha portato ad assumermi le mie responsabilità. Vivere lontano da casa significa non avere più il bozzolo di famiglia alle spalle. Penso che sia un grande passo tra la vita familiare e la vita adulta indipendente, in modo da non dover fare il grande salto in una volta sola.

Studierebbe di nuovo in un'altra parte del paese?
Il ritorno a Ginevra non fa parte dei miei piani per il resto dei miei studi. Ho intenzione di rimanere all'Università di San Gallo o di andare all'estero. In questo caso, sceglierei un paese anglofono per completare le mie conoscenze linguistiche.

Che consiglio darebbe a coloro che desiderano studiare in un'altra parte della Svizzera?
Non aver paura è un'esperienza d'oro. Facciamo nuove conoscenze che non avremmo mai avuto l'opportunità di fare, guadagniamo in maturità. Ci sono solo punti positivi!

 

Intervista: Eliane Troxler